GAETANO RANIERI SYNERGICAMENTE

IL MERITO E’ UNA COSA SERIA

Aprile 18, 2024
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Aprile 18, 2024 Gaetano Ranieri

Nel 1958, il sociologo britannico Michael Young utilizza il neologismo meritocrazia, dal greco merēre guadagnare e kratos potere, per definire una forma di disuguaglianza economica.

Nel proprio romanzo, “The rise of meritocracy”, Young immagina l’Inghilterra del 2033 dove l’assegnazione di ruoli avviene esclusivamente su base di merito, la società è organizzata in una forma di gerarchia perfetta in contrapposizione con la democrazia, descrive infatti il governo come un ente passivo controllato dagli individui più meritevoli.

Il racconto rappresenta una dura critica verso un principio altamente pericoloso, evidenziando la concreta possibilità che un sistema meritocratico possa divenire un efficace strumento di legittimazione delle disuguaglianze sociali. Se non si parte alla pari qualcuno è avvantaggiato ed ottiene per tanto merito maggiore, ma non reale.

Il termine meritocrazia prende nel tempo una accezione positiva, con l’ingegnoso tentativo di farlo coincidere con una equa forma di distribuzione di incarichi nel “magnifico apparato” pubblico, nei ruoli e nelle professioni di responsabilità che dovrebbero essere affidati secondo criteri di merito. In più occasioni, viene anche usato per proporre la concezione meritocratica come valida alternativa alla diffusione di sistemi clientelari nell’assegnazione di ruoli di responsabilità.

Oggi tutti parlano di meritocrazia, i politici di tutto il mondo blaterano continuamente, comodamente seduti nei loro scranni o nei salotti televisivi, per convincerci che denaro, potere, lavoro e scuola devono essere distribuiti in base alle attitudini e capacità di ciascuno, ma in concreto fanno ben poco perché ciò si avveri. Naturalmente, per avvalorare le loro affermazioni si preoccupano sempre di far notare che il merito non è facile da conseguire, che duro lavoro e impegno sono essenziali per avanzare nella scala sociale in base alle capacità individuali che un domani saranno riconosciute. Secondo questi ben pensanti, fattori esterni come la provenienza da una famiglia benestante, l’ambiente e le frequentazioni sono tutti elementi scarsamente rilevanti, ma non è per niente così.

Non deve essere ignorato che la meritocrazia tiene in vita il capitalismo e le caste assicurando il ricambio delle classi dirigenti, per tanto chi parte da una condizione di vantaggio sociale ed economico ha maggiori possibilità di successo per il semplice fatto che può frequentare le scuole migliori e le giuste relazioni. E’ evidente che un sistema meritocratico può funzionare solo se affiancato da misure sociali in grado di determinare pari opportunità e condizioni di partenza a ciascun individuo, che può esprimere così il proprio talento.

La verità è che la meritocrazia è diventata un’ideologia, una convinzione spesso deviante che ci attrae perché giustifica il nostro status quo, ci fornisce una spiegazione plausibile del perché ognuno di noi si merita di stare dove sta nell’ordine sociale precostituito. Qualcosa che ricorda molto le caste della religione induista, sei povero perché in un’altra vita ti sei comportato male, non perché sei nato in una famiglia povera alla periferia di Mumbai. Al contrario, la tua ricchezza è il premio per esserti comportato bene in una vita passata, non perché sei figlio di una famiglia ricca e hai studiato nelle migliori università. Le caste, un sistema di stratificazione gerarchica creato perdeterminare i criteri di suddivisione del lavoro, diversificando lo stato sociale delle persone attraverso una giustificazione religiosa per diventare a tutti gli effetti un sistema di controllo della popolazione.

Tutti i sistemi di controllo legati al merito denotano anomalie nei rapporti tra stati e religioni, non esiste infatti una vera separazione tra le due entità perché vivono in simbiosi fin dai tempi più remoti. Il potere politico da sempre trae potenziamento dalla religione e viceversa, il concetto di merito è introdotto con una sola finalità, dominare e controllare intere comunità. Se non ti comporti secondo norma, se vivi fuori dagli schemi comuni sei una specie di reietto e non puoi avere accesso al merito. Se non hai merito significa che sei privo di capacità, sei privo di talento, quindi sarai un poveraccio tutta la vita.

Questo concetto è perfettamente allineato ai processi economico sociali degli ultimi decenni, secondo i quali le posizioni di svantaggio vengono considerate come frutto di demeriti personali.

Dobbiamo aumentare la produttività per far crescere il benessere pro capite e collettivo, ci viene ricordato ogni giorno. E’ necessario far salire il prodotto interno lordo, quindi i meritevoli talentuosi hanno l’arduo compito di guidare le masse dei meno stimati e indegni, ai quali offrire lavori di basso livello e retribuiti in modo altrettanto infame. Nel frattempo prolificano nuove forme di schiavitù gestite da nuovi negrieri che sfruttano persone povere e disperate ingannandoli col miraggio della libertà della quale in realtà sono privati, che gli promettono una casa e gli danno baracche, che gli garantiscono un lavoro e glielo danno, dall’alba al tramonto curvi sul campo di pomodori per 2 euro all’ora. Altri, più raffinati e “radical chic”, garantiscono facili guadagni attraverso lavoro ad orario elastico che sei libero di gestire come vuoi perché sei imprenditore di te stesso, in sella ad un motorino o una bicicletta facendo consegne pagato a cottimo.

Osservata da questa angolazione, l’ambita e tanto declamata meritocrazia non ci convince più così tanto.

Il problema tuttavia non risiede nel concetto di merito, ma nel fatto che spesso è confuso con una forma malsana di competizione che ci isola dagli altri per inseguire soltanto il nostro interesse, ci fa mettere da parte i nostri talenti per cercare scorciatoie che ci portino rapidamente al successo ed associa i fallimenti a mancanze personali fornendo le giuste ragioni per cui, coloro che sono alla base della gerarchia sociale, devono rimanere lì e soffrire espiando i propri peccati.

Il sogno del merito sta svanendo a causa delle proprie contraddizioni, eppure continuiamo ad inseguirlo perché la nostra evoluta società occidentale necessita delle insicurezze e del malcontento delle persone per sostenere il proprio sistema economico.